Ferragni, l’industrializzazione del privato

La cosa più importante che dice Ferragni (soprattutto nell'intervista al Corriere, in parte anche ieri da Fazio) è che il prezzo dell'industrializzazione del privato è troppo alto, per chiunque. Non importa quanto siano alti i profitti, non importa quanto un profilo diventi la tua identità, il tuo modo di stare al mondo, il tuo patrimonio, nel lungo termine di una vita e dei suoi eventi nessuno potrà reggere questa roba di essere il pozzo di petrolio (grande o piccolo che sia) da cui un'azienda californiana deve estrarre fino all'ultima goccia utile. Lei ci chiede empatia, probabilmente la merita, ma non per i motivi che pensa lei. Come l'apprendista stregone di un film Disney, Ferragni ha fatto un'esperienza primariamente umana: ha trovato una nuova fonte di energia, ha provato a usarla, ci si è riscaldata, ha creduto di governarla, ne è stata governata e poi ha bruciato tutto. Nella sua parabola personale, Ferragni proverà a fare la transizione verso l'imprenditoria tradizionale, senza trarre alcuna conclusione dalla sua vicenda. Però, dal punto di vista collettivo, dovremmo imparare a trattare Chiara Ferragni come una paziente zero di cosa significa vivere a lungo, o lunghissimo, termine nell'era delle piattaforme. Come ogni paziente zero, non è interessante la sua biografia in sé, ma cosa ci racconta di noi e del piano inclinato su cui ci troviamo. La sua vita ha accelerato sulla scala degli anni processi che toccano più o meno a tutti, su quella dei decenni e delle generazioni. L'autoestrattivismo della privacy non ci rende infelici perché non lo monetizziamo abbastanza, perché lei è Ferragni e noi siamo noi. 

L'autoestrattivismo è insostenibile, a prescindere dalla categoria di reddito.

Ferdinando Cotugno