quei ragazzi che lavorano per tecnocasa
Quei ragazzi che lavorano alla Tecnocasa
e che chiudono alle nove, anche nove e dieci,
che serrano la porta di un colore bianco
definito, uguale a tutte le altre porte
degli uffici in tutto il Centritalia,
quei ragazzi che si alzano alla sette
e si infilano uno dei tre completi blu
comprati appena dopo l’assunzione,
che fanno turni di dodici ore al giorno,
dieci e mezzo contando l’intervallo,
quei ragazzi che masticando sempiterni
chewing-gum alla fragola e alla menta,
mantenendo l’alito pulito, il capello pettinato,
devono scovare ogni giorno nuove case,
bussando e richiedendo
al vicino confidente del vicino diffidente,
quei ragazzi che illustrano le case,
i battiscopa, le caldaie, i bagni dopo la cucina,
la luce nelle stanze, i materiali dei solai,
che insistono dicendo di non farlo,
che guardano guardare venti o trenta volte
gli stessi sgabuzzini da ristrutturare,
quei ragazzi che ogni mese se va bene
si portano a casa quasi due milioni tondi,
che hanno il fine settimana per la vita personale,
per farsi una famiglia, un’idea sul terrorismo,
un corso di violino, una gita al nuovo Auchan,
quei ragazzi che con i soldi risparmiati
si stressano di meno, si migliorano la vita,
una macchina più grande, più scelta di cravatte,
un’autoradio più tascabile, la possibilità di entrare
in locali dove in tre passetti o quattro
accedere al piacere, rapidi e assassini,
cuccioli e puntuali, con quegli occhi abituati al sonno corto,
quei ragazzi con le madri che gli lavano i calzini,
con le donne che gli lasciano messaggi al cellulare,
con i padri che gli comprano la casa,
quei ragazzi hanno un numero comune:
7046002, Ufficio Tecnocasa per il Lazio.
Christian Raimo
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