No bono, Paolo, non ci siamo. L’ultimo di Virzì presentato oggi alla Mostra di Venezia, The Leisure Seeker, è un road movie più brutto dei tanti a cui assomiglia. I protagonisti, Sutherland e Mirren, sono un’anziana coppia che decide di riprendere il vecchio camper e concedersi un ultimo giro di giostra, dal Massachusetts fino alla Florida. Lui con perdite estemporanee di memoria, lei con un cancro in stadio avanzato, scendono la costa est americana incappando nelle più prevedibili microdisavventure. L’intero film, con ritmo molto lento, ci racconta l’annoso problema della decadenza del corpo con l’incedere dell’età. Ebbene sì, si tratta proprio della vecchiaia. Momenti di massimo pathos sono quelli in cui i due non-giovani lasciano intendere a più riprese di amare il ricordo, ormai sbiadito, dell’altro. Finale (non morale) della favola, la Mirren decide di mettere fine a queste esistenze ormai incapaci di consumare come una volta, e mette in scena un dolcissimo omicidio-suicidio riempiendo il camper di fumo di scarico (non prima di essersi messa il rossetto).
Tutto farebbe pensare che Virzì abbia voluto finalmente accreditarsi presso il cinema statunitense, a cominciare dal cast. Fare piccoli capolavori in Italia (il penultimo, La pazza gioia, forse rimarrà imbattuto) gli era venuto a noia, era arrivato il momento di dirigere una banalità dal respiro internazionale. Il film sfiora molti temi pesanti, dalla malattia al consumismo turistico, ma l’approfondimento dedicato a ognuno è ai limiti delle scuole elementari. I turisti cattivoni che si fanno i selfie nella casa di Hemingway, la vecchiaia trattata come lo stadio dell’inutilità assoluta, sono messaggi che non rendono giustizia allo spessore del regista. E’ come se per entrare nei salotti degli americani medio-riflessivi Virzì si sia dovuto spogliare della sua profondità.
Ultima nota di dolore, l’occhiolino ai democratici. Come ormai tradizione nei film ambientati negli Usa dell’ultimo anno, anche Virzì si sente in dovere di inserire due scene, una all’inizio e una a metà, in cui Persone Orribili fanno campagna elettorale per Donald Trump. Inutile dire che queste incursioni, forse 120 secondi in tutto, sono completamente inutili nell’economia generale del film. Ma l’antitrumpismo è già un cameo d’oro, un argomento estetico da appuntarsi in petto al gran galà degli Oscar. E allora vai, Paolo, se è questo che ti rende contento vai e divertiti. Ma torna presto. Ti aspettiamo.
Vincenzo Rallo