mettete il dito nella piaga, la lezione di houellebecq
Cinico, stronzo, misogino, islamofobo, truce, impudente, volgare, sbruffone, addirittura cialtrone. Michel Houellebecq, nei circa trent’anni della sua carriera letteraria pubblica, ha collezionato attributi che farebbero di chiunque altro un maestoso e petulante poser, uno di quegli egomaniaci autoriferiti narcisisti che, insicuri di sé e tanto carenti di attenzione quanto già ricchi di amor proprio, si siedono dalla parte del vizio, del turpe e del maledetto semplicemente perché è quella che assicura più facilmente e velocemente la conquista dell’attenzione degli altri.
Probabilmente, l’uomo, che per inciso non si chiama Michel Houellebecq ma Michel Thomas ed è nato alla Reunion il 26 febbraio del 1956, potrebbe anche essere quel poser represso bisognoso di attenzione che in molti pensano, ma francamente è un dettaglio ininfluente. Il signor Thomas è affare del mondo, se vogliamo parlare di letteratura quello che conta è Michel Houellebecq, personaggio nato intorno tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta sulle pagine della rivista Karamazov, ormai dimenticata, e autore ad oggi di 18 pubblicazioni, tra romanzi, saggi, raccolte di poesie e interventi di varia natura, e lui poser non lo è proprio per niente.
Per quanto il signor Thomas de La Reunion possa essere assetato di attenzione degli altri pronto a tutto per averla e magari anche un ciarlatano, a suo modo, il personaggio che crea quando si mette a scrivere, questa posa non ce l’ha. In tutta la sua opera di finzione — 7 romanzi, fino ad oggi — quel personaggio è totalmente vero, ancor più vero del signor Thomas in carne ed ossa, ormai, e quando la sua voce riecheggia nelle pagine che leggiamo si dimostra probabilmente il più vero della letteratura mondiale contemporanea. Il signor Thomas forse avrà anche iniziato a scrivere per epater les bourgeois. Ma il Michel Houellebecq che si è ritrovato a scrivere i suoi libri lo ha fatto per dire la verità, tutta la verità e nient’altro la verità.
Quello che è riuscito a Michel Houellebecq è un colpo da maestro che riesce a pochi e che determina il vero solco che divide la rara e grandiosa letteratura dai libri normali, per lasciar perdere i mediocri. È stato andare oltre la finzione, e andarci con tutto se stesso, mettendo a nudo in mezzo alla bolgia e con parole vere e puntuali i dolori e le disgrazie prima di tutto di se stesso — quello vero, quel Michel Thomas cresciuto con la nonna, disadattato e frustrato — ma riuscendo a farlo spogliandosi dell’ego nello stesso momento in cui ci si mascherava. Prendendo in ostaggio quel molle corpo del disadattato signor Thomas e raccontando il disagio di tutta l’Umanità.
Nel 1991, in un breve libricino intitolato Rester vivants, pubblicato dalla casa editrice parigina Éditions de La Différence, Houellebecq scrive una frase che, letta ora, risponde da sola alla domanda sul se sia un grande scrittore per davvero o se sia un cialtrone:
«Ogni società ha i suoi punti deboli, le sue ferite. Voi mettete il dito sulla piaga, premete forte. Indagate sugli argomenti di cui nessuno vuol sentire parlare. Il contrario del decoro. Insistete sulla malattia, l’agonia, la laidezza. Parlate della morte, dell’oblio. Della gelosia, dell’indifferenza, della frustrazione, dell’assenza di amore. Siate abietti, sarete veri».
Questo fa Michel Houellebecq: dice la verità, e riesce a farlo praticamente sempre, in ogni riga, in ogni paragrafo, in ogni pagina che scrive, dalla prima di Estensione del dominio della lotta fino all’ultima del pur meno efficace Serotonina. Lo fa mettendo insieme parola dopo parola una delle migliori prose francesi di sempre, precisa, incazzata e mai superflua.
Tra parentesi, se volete capire veramente l’esatta grandezza della sua prosa mettete un suo testo accanto a uno di Sylvain Tesson, uno che nella vita ha fatto esperienza pazzesche, ma che quando le ha raccontate non ha saputo andare oltre allo sfogo petulante del proprio ego mettendo in pagina una lingua artefatta, melensa e scaduta come una lattina di One-o-One.
Leggete un brano di Sentieri neri di Tesson e poi un brano de La carta e il territorio di Houellebecq. Provate, e sentirete stridere i due opposti della medaglia. Da una parte, quella di Michel Houellebecq, un fiume in piena che va dritto dove deve andare trascinando via ogni cosa che si mette in mezzo, un fiume che risuona di vita vera e che ci prende a calci nello stomaco trascinandoci di fronte alla nostra mediocrità, dall’altra, quella dei Tesson, una palude solfitica dove la vita vera è una morgana all’orizzonte, bellissima ma finta, che sparisce piano piano mentre le tue caviglie sprofondano nel pantano.
Quella di Houellebecq è una lingua nitida ed estremamente efficiente, poetica nel ritmo e nel procedere affilato più che nello stile e nel registro, una miscela talmente inimitabile che fa sì che possiate riconoscere la sua prosa aprendo una pagina qualsiasi, come riconoscereste al primo sorso una birra artigianale tiepida e pastosa da una industriale, gelida e insapore. È attraverso questa miscela esplosiva che Houellebecq veicola le geniali intuizioni su tutti noi e sulla traiettoria della nostra società che noi prendiamo per profezie, ma che sono semplicemente il risultato del saper trasformare direttamente in scrittura l’acume delle proprie osservazioni e delle proprie intuizioni visionarie.
Una delle cartine tornasole che certifica la potenza di uno scrittore come Houellebecq è vedere che fine fanno quelle misere distinzioni commerciali dei generi quando finiscono in pasto alla sua scrittura. Nelle mani di Houellebecq, anzi, nelle sue parole, persino scene fantascientifiche come le pagine finali de La possibilità di un’isola, popolate da una doppia umanità, oscillanti tra un neomedioevo e l’era dei cyborg, diventano semplicemente vere. Non è fantascienza, perché quella che vi striscia davanti è nientemeno che l’Umanità. È contemporaneamente il tuo futuro e il tuo passato.
O ancora, nel vertiginoso epilogo di quello che probabilmente resta il suo capolavoro, Le particelle elementari, quando, dopo 500 pagine che spesso sfiorano l’autobiografia ci porta all’ultimo piano del grattacielo più alto e, con la solita forza, economia e lucidità scrive poche righe che sono la spintarella che ci fa precipitare nell’abisso:
«La storia esiste; essa si impone, essa domina, il suo imperio è inesorabile. Ma al di là del mero piano storico, l’ambizione ultima di quest’opera sta nel rendere omaggio a questa specie sventurata e coraggiosa che ci ha creati. Questa specie dolorosa e vile, di poco diversa dalla scimmia, e che pure recava in sé aspirazioni assai nobili. Questa specie tormentata, contraddittoria, individualista e rissosa, di un egoismo sconfinato, talvolta capace di inaudite esplosioni di violenza, ma che tuttavia non cessò mai di credere nella bontà e nell’amore. Questa specie che altresì, per la prima volta nella storia del mondo, seppe considerare la possibilità del proprio superamento».
Anche la sociologia, che nella letteratura mediocre si intravede ridicola come una calza arrotolata nelle mutande, nei libri di Houellebecq suona naturale, come una parte necessaria di un corpo complesso. Ancora una volta, senza pose, senza secondi fini, solo per colpire a fondo, per dire la verità. «Come il liberalismo economico incontrollato, e per ragioni analoghe, così il liberalismo sessuale produce fenomeni di depauperamento assoluto», scrive Houellebecq nel bel mezzo del suo primo romanzo, Estensione del dominio della lotta, e continua:
«Taluni fanno l’amore ogni giorno; altri lo fanno cinque o sei volte in tutta la vita, oppure mai. Taluni fanno l’amore con decine di donne; altri con nessuna. È ciò che viene chiamato “legge del mercato”. In un sistema economico dove il licenziamento sia proibito, tutti riescono più o meno a trovare un posto. In un sistema sessuale dove l’adulterio sia proibito, tutti riescono più o meno a trovare il proprio compagno di talamo. In situazione economica perfettamente liberale, c’è chi accumula fortune considerevoli; altri marciscono nella disoccupazione e nella miseria. In situazione sessuale perfettamente liberale, c’è chi ha una vita erotica varia ed eccitante; altri sono ridotti alla masturbazione e alla solitudine. Il liberalismo economico è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Altrettanto, il liberalismo sessuale è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società».
Ma anche, nel meno sintetico ma più lancinante Piattaforma, quando scrive: «È assurdo sostenere che gli esseri umani siano unici, che rechino in sé un'individualità insostituibile; nel mio caso, comunque, non sentivo alcuna traccia di tale individualità. Il più delle volte è inutile sforzarsi di distinguere caratteri e destini individuali. In pratica, il concetto di unicità della persona umana non è altro che un'enfatica assurdità». Persino nel più prevedibile Sottomissione, nel quale Houellebecq racconta dell'ascesa dell'islam in Europa e della guerra civile che piano piano dilaga nell'Occidente ormai clinicamente morto, l'analisi della società non è posticcia, non è infilata tra le righe per fare quello che l'aveva detto prima degli altri. È naturale. C'è perché non potrebbe non esserci. E la sua grandiosità, ancora una volta, non è nella profezia in sé, che da sola sarebbe come una scommessa fortunata all'ippodromo, ma sta nella precisa descrizione dell'opportunismo della borghesia occidentale, nella sua marcia decadenza.
Chissà come verranno letti dai posteri i libri di Houellebecq. Di sicuro c’è che verranno letti, se di posteri ce ne saranno e se gli interesserà ancora ricordarsi come si apre un libro. Probabilmente, a differenza nostra, avranno il vantaggio di non limitarsi alle parti che ai nostri tempi fanno più rumore, quelle stilettate con cui Houellebecq, novello Cyrano, cerca insistentemente di ferire il nostro bonton piccolo borghese, provocando quegli shock che lo hanno reso famoso e odiato — dagli attacchi all’islam, all’apologia della pedofilia, dalla pervadente misoginia alla passione pornografica — e che non sono altro che la traduzione e la messa in pratica fedele di ciò che lui stesso, all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, scriveva in un misto di prosa e lirica: «Mettete il dito sulla piaga, e premete forte». «Siate abietti, sarete veri».
Andrea Coccia
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