lindia gurjarasthra
Ho studiato archeologia, e ho vinto il bando di concorso perché nessuno voleva andare a scavare questa civiltà di cui non si sa ancora praticamente nulla e quello che si sà e per lo più un invenzione del governo.
Nonostante alcuni dubbi sul reale valore scientifico della spedizione e i problemi politici e culturali che travagliano il subcontinente indiano, sono partita con grandi speranze per raggiungere quell'interessante seppur problematica regione chiamata Gujarat al confine col Pakistan.
Il sito era musealizzato ed era il luogo dove alloggiavamo, a cento chilometri dalla città più vicina, Ahmdabad.
Chilometri di piatto nulla, villaggi minuscoli che vendevano tutti le stesse cose (orrende noccioline arancioni, cose luminose di plastiche e radio) vegetariani TUTTI perché estremisti indù. C'erano solo tre tipi di vegetali, lenticchie cavolo e patate.
I membri della spedizione erano una manciata di disperati , quasi tutte belle che non conoscevano il direttore per fama (io mi ero trasferita da poco) e che avevano accettato questa missione suicida pensando che fosse una figata pazzesca. C'erano anche un paio di ragazzi molto giovani che erano l'unica scorta dato che ci era proibito girare da sole anche per il sito, come per altro era proibito stare in una stanza con un uomo, senza nessun'altra donna.
Alloggiavamo in queste 4 casette costruite negli anni 50 dai primi che avevano scavato quel sito, sopraelevate per non farle inondare nel periodo dei monsoni. L'acqua proveniva dal pozzo del sito e vi erano delle pompe che riempivano le cisterne poste sui tetti delle casette. Il sito era corredato da un micro museo, dove andavano a morire gli archeologi indiani che avevano sgarrato (quello che avevo conosciuto io aveva sposato una donna di una casta inferiore, cosa legalmente permessa ma vista malissimo).
Io e un paio d'altre ragazze più grandi e più avvezze alla vita fummo messe a occuparci della logistica, mentre le altre ragazze partite per una meta esotica alla ricerca d'avventura semplicemente impazzivano. Io non sono impazzita solo perché per ila dissenteria eterna mi davano l'oppio, altrimenti non ce l'avrei MAI fatta.
qualche aneddoto, giornata tipo:
sveglia alle 3.30 del mattino, salivo sul tetto per controllare che le cisterne fossero piene, altrimenti svegliare gli operai affinché le riempissero. Poi fotocamera in spalla e attrezzatura mi occupavo dei rilievi fotografici e non con la luce dell'alba di tutte le sezioni delle trincee e dei rilievi geoarcheologici. Tornavo al sito mentre gli altri si svegliavano, prendevo le provviste e le consegnavo alle donne che si occupavano di cucinarci il cibo sapendo che ne avrebbero rubato dal 20 al 30%. Il pranzo consisteva nel tradizionale DAL con riso. Non potevamo ovviamente mangiare nulla di crudo, perché l'amuchina non uccide l'ameba e quindi dovevamo stare attenti anche a sbucciare, altrimenti cuocere, cuocere tutto.
Lavorare sullo scavo a volte come socia della geoarcheologa a volte no, tipo jolly, poi cercare di tornare alle case evitando i cobra che cercavano il calore che era rimasto sull'asfalto della stradina, cenare con cose provenienti dalla città che erano: Pasta, cheddar, riso, a volte salsa di pomodoro, e uova uova come se piovessero. Siccome non potevamo bere l'acqua del pozzo bevevamo quella in bottiglia, solo che non è sorgiva è disinfettata chimicamente, e non aveva nessun minerale. Fortunatamente qualcuno ha pensato al polase.
Alla sera fotografavo i materiali trovati nella giornata fino a quando ce n'era e organizzavo il traffico di alcool, illegale in gujarat, insieme ad altre ragazze con un giovane ragazzo di Mumbai spedito nel culo dell'india perchè si drogava.
Eravamo i primi occidentali che vedevano, e facevano pagare il biglietto per guardarci soprattutto sul treno che da Gundi ci portava alla grande città che solo i piu fortunati della zona riuscivano a vedere (e dove non abbiamo MAI incontrato un occidentale) Dopo i primi giorni abbiamo preso l'abitudine di coprirci il capo perchè ce li trovavamo appiccicati ai capelli, soprattutto le bionde. Solo una volta ho temuto per la mia virtù, altrimenti gli indiani di lì sono così piccoli e sottonutriti che mi bastava una manata per scollarmeli di dosso.
Ammetto che sono partita fricchettona convinta delle meraviglie dell'incontrare una cultura così nuova e diversa e sicura che avrei trovato contatto con una parte profonda di me, che in effetti ho trovato e che agli indiani darebbe volentieri fuoco.
Ho perso la mia verginità relativista quando una donna adulta ci è venuta incontro il primo giorno con un abito confezionato per una ragazza della squadra che era stata lì per qualche giorno un anno prima circa per i rilievi preliminari. La ragazza vede che manca all'appello una figlia e gli chiede che fine avesse fatto. Questa sorride e ci dice che è morta, toccandosi la gola. Penso "ah, che cultura meravigliosa, l'accettazione della morte, la reicarnazioneh!" e invece approfondendo ho scoperto che la zoccola sorrideva perché la figlia si era suicidata impiccandosi nella cucina, non si voleva sposare con l'uomo che la famiglia aveva scelto, violento e vecchio, e la madre era contenta così c'era una dote in meno da pagare. I suicidi nella faccenda della reincarnazione non fanno una bellissima fine, in ogni caso.
C'era un unico Paria, erano tutti della casta dei guerrieri (d'altro canto, accoppiandosi in campagna tra famiglie). Ci siamo rifiutati di far pulire la nostra merda, compreso il collettore (abitato dall'iguana) a un povero 80enne. Così facendo però abbiamo scompigliato i loro modi e le loro usanze, perchè non ci rispettavano e cercavano di fotterci, però fingevano di rispettarci e ci leccavano al culo, solo che toccando la nostra merda eravamo pari dei paria, e non potevano mostrarcelo perchè volevano comunque i nostri soldi, non sapevano che pesci pigliare.
Mangiavamo carne una volta alla settimana quando venivamo invitati in un palazzo bellissimo del politico locale, che un tempo era appartenuto ad un maharaja, dove un cuoco nepalese cucinava per noi della carne e del pesce, un banchetto spettacolare. Li ci toglievamo le scarpe camminando su un letto di petali e potevamo bere legalmente della birra, orrenda ma in confronto al colluttorio che ci spacciavano per whisky sembrava nettare per gli dei.
Alle casette il bagno era una turca e la doccia era un secchio in cui mettevi dell'acqua che aveva appeso un secchiello più piccolo con cui ti versavi l'acqua in testa. Al palazzo del Maharaja ci siamo fiondati al bagno nella speranza di rivedere una doccia, e invece sempre gli stessi secchielli, solo placcati d'oro.
Una mia amica bianchissima, con gli occhi verdi e i capelli neri è stata acclamata come avatar di Parvati e gli hanno offerto belle mucche per sposarla, ma lei non ha accettato.