E’ sempre il ragazzino sfigato tra i pubblicitari vestiti Armani che parla, straparla.
E’ sempre il ragazzino sfigato tra i pubblicitari vestiti Armani che parla, straparla.
Parla a una velocità insopportabile. E’ incontestabilmente brillante. Non è soltanto la bamba. E’ magro come un chiodo, e manifesta il tremito dei poveri. Quelli che vanno al Berchet tentando il riscatto sociale. Questo tizio non ci è riuscito e fa il buffone per i suoi amici, attira pubblicitari in massa. E’ un Trivial Pursuit completo di domande e di risposte, a cui è impossibile giocare. Sta dicendo che l’86 è stato comunque dominato dalla stimmung degli Ottanta circoscritta in meno di due ore di cinema, Via Montenapoleone, con Carol Alt e Luca Barbareschi e Renée Simonsen e Marisa Berenson. Chiunque si ricorda di Renée Simonsen, ululano e alzano i cocktail, urlano “Grande!”, il ragazzino è scatenato. Patetico. Specifica che la regia è di uno dei Vanzina e non di entrambi. Il ragazzino non è monocorde, sa sospendere la narrazione, sa dilatare i tempi di attesa, sa scegliere il momento dello scioglimento aneddottico, sa colpire la scena, coinvolge, utilizza trucchi retorici. A questo gli è servito il Berchet. Qui finisce l’illusione di arrampicare sulla parete della classe dirigente. Le fiche si avvicinano ai suoi amici. Se lui vuole scopare, ha sbagliato tutto.
Anche Paolo Rossi e Fabrizio Bentivoglio, in Via Montenapoleone.
Monica ha pagato le ventimila per il Gin Rosa, ma non si allontana, è nel cerchio dei pubblicitari. Lo show del ragazzino vestito male è meno coinvolgente di uno sketch ma più spettacolare della noia di Raffa e della cumpa (con un occhio alla cumpa, vede Raffa troppo vicino a Elena, l’ultima aggregata, una stronza che ha fatto l’Erasmus alla London School of Economics, economia finanziaria, e non ha altro ruolo che fare la stronza e quindi è chiaro che vuole farsi Raffa e vuole che Monica li veda parlare così vicino, l’uno all’orecchio dell’altra, per la musica altissima, per altro, per tutto quello che a Monica annoia e non fa problemi, è la ragazza senza problemi, la musica batte altissima, una sfera di vibrazioni vocali ambigue e un tema inafferrabile, Personal Jesus dei Depeche).
Il ragazzino non la smette, i gruppi si fondono intorno a lui, forse neanche si è fatto di bamba: è lui la bamba. La lambada, è lui. Incredibile: sta raccontando la trama di Via Montenapoleone. Montenapoleone è solo il road show di personaggi bidimensionali, che hanno la profondità di Minnie Minoprio. Divagazione su Minnie Minoprio che è finita a posare in orge per giornalini porno, soprattutto Men. Attendiamo Delia Scala che fa un pompino su Le Ore. Tutti ridono. I personaggi di questa storia: Balzac in formato tascabile, solo che non è Balzac ma uno della levatura del Catozzo di Faletti.
Tutti ridono, il ragazzino è adrenalina. Usa un tono patetico, modula le narrazioni, è povero in canna e può contare solo sull’eloquio e la narrazione, è il buffone di corte, Monica non se lo scoperebbe mai e poi mai, iniziano a inanellarsi relazioni effimere e volanti tra modelle e pubblicitari e tutti quelli attorno al ragazzino che fa il suo show e quasi urla le parole, parole nel frastuono del Gesù Personale dei Depeche, tutti attorno al ragazzino, a questo clown che l’organizzazione dell’Hollywood dovrebbe o pagare o mandare a cagare. Via Montenapoleone è l’epica all’epoca degli stronzi. Li sta provocando? Sta provocando tutti e tutti ridono... Via Montenapoleone è storia corale di piccole vicende, di amare esperienze, di incontri e di abbandoni e di non poche sciocchezze. Ridono, nessuno da secoli ha più sentito pronunciare la parola “sciocchezza”. In Via Montenapoleone alcune storie si intrecciano, altre avranno un seguito. Renée Simonsen fa Elena, una fotografa che ha più successo di Fausto Biloslavo, ma deve pagare i debiti di un padre che non fa un cazzo a parte i debiti.
Iniziano a scatenarsi sensi di colpa. Il ragazzino affonda il suo coltellino svizzero nel vissuto di chi lo ascolta, sta provocando, nessuno capisce che li sta provocando tutti.
Fausto Biloslavo è il fotografo rapito in Afghanistan, un anticompagno di quelli tosti e il ragazzino lo ha nominato per provocarli tutti, perché qui non c’è un compagno che sia uno, i compagni non si vedono più, il rosso sta stingendo in rosa. Il ragazzino provoca dissimulando. Tutti si riconoscono nelle sue dissimulazioni e le credono verità o sciocchezze, questo è il trucco. Elena, la fotografa, scopa a destra e manca, ma è insoddisfatta e però rimane incinta e alla fine si terrà volentieri il figlio che deve nascerle, sposando un amico. Questo è il tocco Vanzina: il realismo di De Sica più la verve cazzara di Antonio Ricci e Tinì Cansino. Ridono. Altro personaggio, una chicca: Carol Alt, che è Margherita, una bella donna borghese, ricca ma assai annoiata: innamoratasi di un architetto, un play-boy come tanti, ne verrà poi lasciata e rientra delusa nei ranghi familiari. Sta provocando. Sta facendo l’anagrafe sociale di chi lo ascolta. Marisa Barenson è Francesca, che invece lavora con efficienza, estremamente possessiva nei confronti del figlio adolescente, timidissimo con le ragazze e avviato alla scoperta del sesso da Chiara, la socia in affari della madre, poi sconvolta dalla scoperta. “Ve l’ho detto: è il neorealismo cazzaro, cronaca nerorosa riscritta mettendo in bocca le parole a Paolo Rossi. E’ Sergio Vastano che prende il posto di Luchino Visconti. E’ arte, ragazzi. Tra qualche anno la metteremo nei musei, ci faremo dei programmi televisivi, su questa roba. L’arte è roba. Sono dei geni.
Utilizzano copiosamente modelle e vi prego di guardarvi attorno, se non è realismo...”. Le modelle attorcigliate ai pubblicitari non capiscono, i pubblicitari attorcigliati alle modelle ridono. Realismo cazzaro artistico, dice il ragazzo. Ultimo affondo di trama: in Via Montenapoleone tra fotomodelle e mannequin, professionisti e giornalisti, spicca Guido, cioè Barbareschi, un omosessuale riservato e sensibile, poi coraggiosamente cosciente e difensore della propria condizione, aiutato (a modo suo) da una madre comprensiva. “E’ un outing reale al culmine della finzione del decennio. Se dico che è massimalismo, non capite. E’ massimalismo in linea coi tempi. Il cast al completo ce lo troviamo a maggio in platea sotto la piramide di Panseca al congresso di Craxi”. Ridono, di meno, era il finale, la provocazione deve sempre scadere nella propria autorivelazione: non ha più l’obbiettivo di fare ridere, ma di farsi capire a metà.
Li piglia per il culo, prende a dire che gli anni Ottanta hanno avuto inizio con McEnroe, ricomincia a variare. Caleidoscopico ma piccino. Irriverente ma non incisivo. Il suo è uno show: personale. Le sue scarpe sono bucate. I pantaloni di velluto a coste troppo grosse: roba da mercato rionale.
GIUSEPPE GENNA, Dies Irae
- Tags: letteratura