Berghain Panorama Bar
Nel volo da Dusseldorf a Berlino, si siede di fianco a me una anziana signora che mi offre del Toblerone. È di Berlino, ma ha vissuto qualche anno in Australia, dal ’39 al ’54, fuggita con il padre, ebreo ucraino che prima di stabilirsi in Germania falsificava banconote in Polonia ed entrava e usciva di prigione.
Dopo un po’ di reticenza, cerco di creare empatia e le dico che mio nonno era partigiano, mentre in realtà era sempre stato un fascista così, per dirla alla Mario Brega, anche se poi il campo di concentramento lo aveva fatto lo stesso. Finalmente la signora si apre e mi racconta tutta la sua vita rocambolesca in modo davvero piacevole, per tutto il viaggio. Poi mi accompagna in autobus all’albergo e mi invita, infine, a vedere a casa sua un film che non avevo mai visto, “Tea with Mussolini” perché, dice, per lei sarebbe stato davvero un piacere, era sola da sempre. Va detto che con gli anziani lucidi io mi sono sempre trovato bene (e viceversa) perché mi piace ascoltare e normalmente loro non hanno alcuna pretesa, come me.
Non sono più andato a vedere “Tea with Mussolini”, perché fortunatamente sono riuscito ad entrare al Berghain.
Su questo leggendario tempio della musica techno e underground è stato detto e scritto di tutto. Quindi solamente alcuni flash personali.
La tensione che si respira in coda all’ingresso è altissima. Gente che si straccerebbe le vesti per entrare, la selezione è inquietante, di fatto non c’è nessuna regola, eccetto quasi sempre quella del “sei fuori”. Mentre sei in coda, anche da lontano, qualcuno all’ingresso ti ha già notato e deciso il tuo destino. Alla porta, poi, con la testa, qualcuno ti farà cenno di andartene. La gente rimbalzata, circa l’80%, accetta umilmente. Quando sei entrato, ti domandi cosa può aver fatto la differenza, ma invano. Stranamente, tuttavia, ti rendi conto che il buttafuori non sbaglia mai: la capacità di individuare meridionali che fanno casino o altra gente non rispettosa del luogo ha un che di encomiabile. Dentro, infatti, si stava benissimo.
Alle 3 di notte del sabato superiamo il varco d’ingresso di questo gigante blocco di cemento armato che un tempo ospitava una centrale elettrica, e veniamo perquisiti. All’interno le droghe non sono ammesse e nemmeno le foto. Sulle telecamere dei cellulari viene applicato un bollino colorato, se lo rimuovi, sei fuori, se sei sorpreso a drogarti sei fuori.
È difficile spiegare il tipo di sensazione che si prova nella sala principale, in grado di contenere circa 1500 persone e con soffitti alti 18 metri. La potenza dell’impianto stereo ti fa vibrare la cassa toracica, il fumo che pervade la sala è squarciato ogni tanto da lampi blu che si riflettono sulle vetrate spettrali. Sento un misto tra isolamento, eccitazione e forza. Credo sia esattamente per questo che la gente ci viene: essere nessuno in un contesto apocalittico.
Il cemento armato è dappertutto e ti trasmette solidità, riverenza e rispetto, ma anche decadenza assoluta. Gran parte della struttura, una sorta di labirinto pieno di anfratti, può essere esplorata praticamente a piacimento, davvero pochi sono le zone inaccessibili. In diversi punti neanche molto appartati ci sono una serie di cabine, sempre in cemento, che presumo contenessero turbine, e ora formano come delle alcove. Lì si apparta chiunque a fare qualsiasi cosa, gente passa e butta un occhio distratto e disinteressato.
La gente è bellissima o bruttissima, soprattutto per quel che riguarda la componente femminile. Si passa da quelle che sembrano arrivate in gita da Chernobyl, a techno-ninfe così lascive ed eteree che ti pare di impazzire.
Molte ragazze sono rimaste solo in reggiseno, per il caldo. Alcune sono a seno nudo, ma semplicemente perché sono arrivate già così.
Torniamo anche il giorno dopo, domenica alle 19 (il timbro ti da l’ingresso tutto weekend e salti la coda).
Al Panorama Bar, piano superiore, la musica vira più dolcemente su tonalità deep, quella sera pure riprendendo temi della scena house americana degli anni novanta. La gente sembra divertirsi tantissimo. I bar servono pochi cocktail, molta birra e tante bottigliette d’acqua, tutte rigorosamente in vetro, ma non c’è un coccio per terra. Ogni tanto un tizio tutto sporco, con un faretto legato in testa per farsi luce, passa a raccogliere le bottiglie a terra, sembra un uomo-talpa.
Tributo a Prince con “Controversy” remixata da Mighty Mouse. Nessun annuncio, i mostri la riconoscono subito e al refrain la pista esplode in trance (i file audio registrati col cellulare me li risentirò nei momenti tristi). Tra i mostri ci sono anche ottimi ballerini.
Quando usciamo a chiusura, sta nevicando e siamo al 25 aprile. Inizialmente credevo fosse cenere vulcanica.
Un’esperienza mistica.
Non ho più sentito la signora ebrea e non ho più visto con lei “Tea with Mussolini” e sono ripartito. Ma le scriverò comunque.
Una delle cose più belle che forse abbia mai visto: una ragazza con il seno scoperto, piccolo di zucchero, la pelle bianchissima. La testa di un indiano tatuata sul petto. Saltellava come una cavalletta ed era sexy da morire. Sorrideva un sacco. Ero come ipnotizzato e sono riuscito a isolarla con lo sguardo dal resto della massa per circa mezz’ora.